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Posted by on Feb 6, 2015 in Ambiente |

Risorse rinnovabili vicine al limite

energie rinnovabili

Abituati a pensare alle risorse rinnovabili come a qualcosa di inesauribile viviamo in un mondo basato sulla continua crescita e necessitiamo quotidianamente di sempre più risorse, ma può il consumo di risorse continuare a crescere per stare al passo con i fabbisogni dell’umanità?

La risposta a questa domanda è semplicemente: “no, non può.” Uno studio combinato portato a termine dalla Yale University e dalla Michigan State University ha dimostrato che numerose risorse rinnovabili fondamentali per il pianeta hanno già raggiunto il loro “massimo tasso annuale di  incremento”. Superata tale soglia la risorsa non può più considerarsi puramente “rinnovabile” poichè il tasso di consumo della stessa risulta superiore alla sua capacità di rinnovamento, che inoltre, progressivamente si riduce con l’aumentare dello sfruttamento.

Il verificarsi dei massimi va di pari passo con richieste e fabbisogni ed è direttamente collegato con il tasso di incremento della popolazione mondiale, con l’industrializzazione e lo sviluppo dei paesi poveri e con la crescente richiesta di cibo.

Soia, grano, riso, terre coltivabili, legno e molte altre risorse hanno già raggiunto il loro limite da qualche anno, ponendo all’uomo una serie di sfide che dovrà, per forza, essere in grado di affrontare.

Tassi di incremento risorse rinnovabili

Fonte: Helmholtz Centre for Environmental Research – UFZ

Anche se non tutte le risorse rinnovabili hanno raggiunto il loro limite, la comunità globale deve accettare di cambiare le proprie abitudini, la propria impostazione mentale ed essere in grado di sviluppare nuove tecnologie per un miglior sfruttamento delle risorse, ma soprattutto di farne un uso più razionale.

Uno tra tutti il consumo di cibo, nel quale lo spreco nei paesi industrializzati la fa da padrone, in barba ai paesi del così detto “terzo mondo” nei quali milioni di persone ogni giorno muoiono di fame.

I dati dei rapporti annuali di  WWF e FAO parlano chiaro, oltre il 50% del cibo prodotto viene perso, buttato, sprecato prima di essere consumato, in parte per colpa dei consumatori, troppo abituati “ad avere” e in parte per colpa della filiera produttiva, a volte troppo lunga o inefficiente.

Ma lo spreco di cibo non si lega soltanto alla progressiva perdita di capacità di rinnovo delle risorse che lo generano in relazione alla domanda, ma bensì solleva un altro problema: l’impatto sulle emissioni di CO2.

Si stima che l’eccesso produttivo di cibo non mangiato e quindi sprecato produca una quantità di emissioni atmosferiche di anidride carbonica pari a circa 3,3 miliardi di tonnellate / anno, valore immediatamente al di sotto delle emissioni di Cina e Stati Uniti, al vertice della “classifica” globale.

Un circolo vizioso che si innesca con la continua crescita della popolazione mondiale, che prosegue con l’incapcatà di uno sfruttamento razionale delle risorse e che termina con la produzione di quantità considerevoli di uno dei principali gas serra responsabili del tanto dibattuto Global Warming.