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Posted by on Ago 5, 2014 in Ambiente |

Piombo al Polo Sud, una storia ultracentenaria

Piombo al Polo Sud, una storia ultracentenaria

Il Piombo, metallo altamente tossico e in larga parte derivante da numerose attività antropiche, arrivò al Polo Sud ben prima dell’uomo, in concomitanza con l’inizio di alcune attività minerarie in Australia meridionale. Il triste primato è stato scoperto da un gruppo di ricerca, guidato da Joe McConnell del Desert Research Institute (DRI) di Reno, Nevada, che, analizzando 16 carote di ghiaccio provenienti da varie parti dell’Antartide, è stato in grado di ricostruire le concentrazioni di piombo nel continente più remoto del pianeta dal 1600 al 2010.

Lo studio ha evidenziato che a partire dal 1880, ovvero circa 30 anni prima dell’arrivo dell’esploratore norvegese Roald Amundsen, primo uomo a mettere piede al Polo Sud, le concentrazioni di piombo hanno subito un forte incremento coincidente con l’iniziodelle attività di estrazione a Broken Hill, nel sud dell’Australia, e delle attivirà di fusione dei materiali estratti nella vicina Port Pirie.

Ma la storia continua: le analisi temporali dei rapporti isotopici mostrano infatti che le concentrazioni di piombo antartiche hanno raggiunto un picco nel 1900 e sono rimaste elevate fino alla fine del 1920, con brevi cali verso la fine della seconda guerra mondiale, per poi aumentare rapidamente con la ripresa economica fino al 1975 e rimanere elevate fino al 1990.

Piombo al Polo Sud, una storia ultracentenaria

Concentrazioni di piombo al Polo Sud dal 1600 al 2010. Image Credit: Desert Research Institute

Dopo il 1990 una generale diminuzione delle concentrazioni di piombo ha interessato tutta la regione, ma con valori comunque quattro volte superiori rispetto a prima dell’avvento dell’attività industriale.

I numeri parlano chiaro, circa 660 tonnellate di piombo antropogenico si sono depositate sui ghiacciai antartici negli ultimi 130 anni: l’impronta dell’uomo è quindi ancora una volta fortemente impattante sugli equilibri naturali, anche in regioni remote e apparentemente “pulite” come l’Antartide.

Benché il rating di contaminazione attuale sia inferiore rispetto a quello che è stato osservato per il XX secolo, resta ancora molto da fare per riportare questo pericoloso elemento a concentrazioni prossime a quelle che impose madre natura.